domenica 1 febbraio 2015

I Mesi degli Arazzi Trivulzio: febbraio



Siamo al primo di febbraio ed è l’ora di pubblicare la seconda immagine del calendario che ho scelto per quest’anno: gli arazzi con il ciclo dei mesi, commissionati, agli inizi del Cinquecento, dall'allora governatore di Milano, Gian Giacomo Trivulzio, e ora conservati al Castello Sforzesco di Milano.


Febbraio ha qui le sembianze di un uomo barbuto che, con una mano, indica il sole e con l’altra versa acqua da una brocca, in un gesto che ricorda il segno zodiacale dell'Acquario.
Lo sfondo è quello di un paesaggio, dove il freddo rigido dell’inverno, rende le montagne simili a blocchi di ghiaccio e spoglia  i rami degli alberi.
La scena è inquadrata da una cornice, in cui si ripetono gli stemmi dei Trivulzio e delle nobili famiglie ad essi imparentate.
Un altro grande stemma  dei Trivulzio, in alto al centro, domina tutta la rappresentazione, mentre, ai lati, sono raffigurati  il Sole e  il segno astrologico dei Pesci.
A sinistra, un uomo sta intagliando una grande fiaccola di legno. 
Sta praticando- con una mazzetta e uno scalpello- dei solchi lungo un tronco d’albero, per poi inserirvi i cunei già preparati a terra, che serviranno a mantenere aperte le incisioni e a far bruciare meglio il legno.
Intorno a lui, altri uomini reggono fiaccole già pronte e sembrano preparasi a un corteo

A destra, in basso, due fiaccole bruciano scoppiettando, mentre tre uomini seminudi si avvicinano al piedistallo di Febbraio.
Dietro, entro gruppo di figure variamente abbigliate, spicca una misteriosa donna con il volto coperto da una maschera traforata che assomiglia a un burka
Sul pilastro, a destra, compare la firma del tessitore: "Ego Beneditius de Mediolani/ Hoc opus feci co sociis suis in Vigli” vale a dire: "Sono io, Benedetto da Milano /quello che / ha fatto quest’opera con i suoi collaboratori a Vigevano";
Nella scritta traspare tutto l’orgoglio di chi sa di avere portato a termine una grande impresa. Febbraio è, infatti, l'ultimo mese del ciclo: l'anno a Milano- come in molte altre parti d’Italia-  comincia il 25 marzo, il giorno dell’Annunciazione. 
Si concludono, dunque, così cinque anni (1504-1509) di duro lavoro, dalla tintura iniziale dei filati di lana e di seta, alle lunghe ore passate ai telai, senza pause e senza distrazioni.
Benedetto da Milano e i suoi collaboratori devono dimostrare che la manifattura di Vigevano, la prima a essere istituita in Italia, può competere con le  più famose arazzerie fiamminghe e che è in grado d tradurre più fedelmente possibile, i dodici cartoni, di ben cinque metri di lato, che Bartolomeo Suardi (1465 ca-1530) detto il Bramantino, ha consegnato loro nel 1501. 
Certo non deve esser stato facile per artigiani, poco avvezzi alla cultura classica, comprendere le dotte allusioni elaborate dal pittore e farle rinascere nei fili variopinti dell'arazzo.
Come nell'enigmatica scena di Febbraio, dove  l'artista ha sconvolto completamente l'iconografia, dei cicli dei mesi tradizionalmente legata alle attività agricole.
L'unica traccia che rimane delle fatiche dei campi è  nell'iscrizione del piedistallo”Per prata pingue distrhit/ pecus igni pabuum dat/ Hortosque stercorator et/ choreas ducit februarius” Febbraio disperde il  pingue bestiame attraverso i prati/dà alimento al fuoco (con la bruciatura delle  stoppie/ concima gli orti/ e apre le danze (di primavera)".

Al posto dei contadini al lavoro nelle fertili campagne di Lombardia, uomini e donne seminudi o vestiti all'antica, celebrano, con l’acqua e col fuoco, in una sala decorata di marmi, arcane cerimonie.
Lontano dalla bruciatura delle stoppie o della concimazione degli orti, descritte nell'iscrizione, Febbraio appare, piuttosto, come la personificazione del misterioso dio Februo, da cui, secondo la tradizione, avrebbe preso il nome. Protettore dei riti di purificazione era legato, nell'antica Roma, alla festa dei Lupercali celebrata alla metà del mese e in cui schiere di giovani, coperti solo di pelli di capra, correvano lungo il Palatino, colpendo gli astanti con le loro fruste al lume di grandi fiaccole.
Nel gelido mese di Febbraio, evocato dalla fervida immaginazione di Bramantino, questi riferimenti al mondo antico si intrecciano con rimandi all'Oriente, giovani seminudi si affidano alla protezione di un dio pagano, mentre una  donna sembra spiarli dal tessuto traforato di un burka. 
Utilizzando fonti letterarie poco note, mescolando astrazione e attenzione alla realtà più minuta, atteggiando le figure in gesti bloccati, conferisce a tutta la scena l'atmosfera sospesa di una rappresentazione sospesa nello spazio e nel tempo.
E così il suo mese di Febbraio arriva, mantenendo il suo fascino enigmatico e oscuro, fino a noi.





Un approfondimento delle vicende storiche e dell'iconografia degli arazzi è in G.Agosti e J.Stoppa, I Mesi del Bramantino, ed. Officina Libraria 2012

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