sabato 4 giugno 2011

"La condizione umana" di René Magritte




Non è facile  per me commentare un quadro di René Magritte.
Non è solo l'ammirazione che mi lega a questo artista ironico e distaccato, sorridente e irridente, è qualcosa di più: è affetto.
Da quando vivo in Belgio, da quando conosco e amo questo bizzarro paese che tanto gli assomiglia, Magritte  è diventato parte della mia famiglia, un nonno, uno zio, un parente, insomma, che si diverte a sconcertarmi con i suoi dipinti e con i suoi pensieri.

Eppure di lui ho già parlato: ho raccontato del suo amore per Georgette, l”ombra della sua ombra”(qui), o dell' armadio rosso della sua camera da letto (qui).
Ma mi  è  difficile trattarlo come un qualsiasi  altro pittore.

Stamattina, però, la giornata nitida  e il  cielo azzurro chiaro erano  talmente “magrittiani”, che mi hanno trasportato subito dentro  uno dei suoi dipinti, davanti a una  finestra col telaio in legno bianco, uguale  a quella di casa mia.
Allora, sono corsa a cercare il quadro che mi era venuto in mente.
“La Condizione umana”  si intitola.
Eccolo:




Siamo nel 1933, Magritte ha trentacinque anni, da tempo fa parte del gruppo dei Surrealisti belgi. Da poco  ha  tentato di stabilirsi nella capitale artistica d'Europa, a Parigi, prendendo contatti con i surrealisti francesi. Ma ha litigato con il "capo" riconosciuto del movimento, André Breton,  che non capiva le sue scelte.

Per Magritte l'anticonformismo, la libertà, non era nel condurre una vita fuori dagli schemi. 
Era invece  quella di forzarli, di abbatterli gli schemi, ma dall'interno.
Per questo è tornato a Bruxelles, a Jette, ad abitare in un piccolo appartamento a pianterreno, in un quartiere piccolo borghese, a vestirsi in giacca e cravatta e ad ascoltare, nel salotto buono, la moglie Georgette che suona il piano, tenendo l'immancabile  cane accucciato ai suoi piedi.

Non è ricco, all'epoca, Magritte e con i quadri non guadagna: ha creato un'agenzia di pubblicità, disegna manifesti e locandine. 
È nel laboratorio in fondo al giardino che elabora le sue immagini più famose, la colomba della Sabena o gli omini in bombetta di "Golconda" che piovono misteriosamente dal cielo sopra Bruxelles.
Quel laboratorio lui non lo ama affatto; lo chiama Dongo, in atto di spregio, dal nome di Fabrizio del Dongo, il protagonista della "Certosa di Parma'" di Stendhal, un autore e un romanzo che detesta.
Ma non si sente condizionato dalle difficoltà economiche.
Non si sente prigioniero.
Anzi, è là che si sente libero, è in quel quartiere tipicamente belga dove vive, dove i vicini lo descrivono come un "uomo cortese e silenzioso", dove porta a passeggiare il cane, attento solo a non disturbare, conformista in tutto, perfino nel taglio dei capelli, nell'abito a doppio petto, nella cravatta.

La sua libertà è tutta  nelle conversazioni con  gli amici, nelle foto  in cui amano giocare a travestirsi.
La sua libertà è nella piccola stanza da pranzo, il luogo dove abitualmente dipinge, al cavalletto, davanti alla finestra  col telaio in legno bianco.

La finestra, appunto, è uno dei suoi temi favoriti. Uno di quei motivi che, secondo l’estetica surrealista, trae dalla vita quotidiana, staccandoli dal loro contesto e facendogli assumere un senso diverso.
Qui ci ha piazzato davanti  un cavalletto con un quadro senza cornice.
Il paesaggio dipinto nella tela è lo stesso che si intravede fuori dalla finestra, anzi si sovrappone  completamente, tanto che non si capisce dove finisca l'uno e cominci l'altro.
Non si capisce quali siano i confini tra pittura e realtà.

Lo stile è quello suo solito, preciso, minuzioso, come una fotografia.
Ma non è una fotografia.
Ed è qui la sua prima trappola, il suo primo inganno. 
Non ci può essere differenza tra realtà e pittura, perché si tratta di un dipinto, dove tutto è irreale, sia il paesaggio dietro la finestra che quello sulla tela.
Sono tutt'e due inganni, tutt'e due finzioni.
Una fotografia che non è una fotografia, un paesaggio reale che non è un paesaggio reale.

La stanza del  dipinto è vuota, manca ogni presenza umana.
Cosa vuol dire?: si chiedono i critici. 
Forse- pensano-  vuole alludere alla nostra solitudine di fronte al mondo ed è per questo che lo ha intitolato “La condizione umana”.
Oppure vuol dire che noi non possiamo scappare da quello che ci circonda, perché siamo noi stessi a  creare il nostro universo, al di fuori e dentro la stanza, al di qua e al di là della finestra.
O può significare che è  l'artista il creatore.
Teorie complesse? Forse troppo.
Come  diceva Magritte, spesso spazientito per l’eccesso di commenti e per i tentativi di comprensione e decodificazione dei suoi quadri: “In fondo dipingo solo quello che vedo, sono solo immagini”. 

Sì, ma immagini di un altro mondo, un mondo che va oltre le barriere del familiare. 
Enigmi che non sono il frutto di allucinazioni provocate deliberatamente, ma di una contemplazione e di un'osservazione  minuziosa della realtà quotidiana.

Ambienti, situazioni di tutti i giorni che assumono un significato differente, che diventano spiazzanti. 
Gli oggetti più banali, i mobili del salotto, una finestra, un camino, una carta da parati, un cavalletto che  diventano il luogo dell'imprevedibilità, della fantasia, dell'immaginario.
E ogni interpretazione è  lasciata a chi guarda ed è valida anche quella che l'artista non si è mai sognato di  dare.

È così che Magritte ci restituisce la nostra libertà di sensazioni e di pensieri.
È così che forza gli schemi, che ribalta le nostre idee.
In questo intreccio di senso e di non senso, usando l'ironia come un grimaldello per scardinare i luoghi comuni, le espressioni abusate. 
Il tutto con l'abito scuro, la pipa e la bombetta.
E alla fine, sorridendo, ci strizza l'occhio, facendoci capire che in fondo tutto è un gioco e che si è solo divertito con noi, come in una di quelle partite a scacchi che amava tanto.

Bella mossa, René: scacco matto!




Per chi voglia ritrovare Magritte nella sua Bruxelles:
la prima tappa è il Musée Magritte (qui) anche se Magritte mi pare qui  fin troppo “museificato”, con un allestimento troppo “serio” per l’ironia dei suoi dipinti.
Per conoscerlo davvero è meglio visitare la casa di Jette (quidove ha vissuto più di vent'anni, che ora è  aperta al pubblico. Qui si possono ritrovare non solo il suo ambiente, ma anche tutti gli elementi che compaiono nei suoi quadri.
E' da prevedere, poi, un passaggio (con birra obbligatoria) nei suoi bistrot preferiti: La Fleur en papier doré (qui), dove si trovava con gli amici surrealisti e il Greenwich (qui),ora interamente restaurato, dove, ogni tanto, giocava a scacchi,  fumando l’immancabile pipa.
E' visibile, ma solo dall'esterno, anche la sua ultima abitazione, la villetta di rue de Mimosas, dove è stato  fotografato tante volte nei suoi ultimi anni di vita, quando era diventato famoso grazie ai collezionisti americani.
E, poi,  a me  e a mio marito piace, ogni tanto, fare una visita al cimitero di Etterbeck, dove riposa con Georgette. 
A volte cediamo alla tentazione di portare dei fiori, anche se sappiamo che non li gradirebbe e che esclamerebbe con il suo inconfondibile accento belga:  “Quel gaspillage! Che spreco!”.









21 commenti:

  1. Mi piace quando dici che per Magritte non era importante vivere fuori dagli schemi ma rompere gli schemi dal di dentro, perchè questo, a mio avviso, è un cardine dell'intelligenza di un artista. Vestirsi strani e fare i folli non significa essere artisti, significa seguire uno stereotipo o, al limite, essere ribelli isterici: la realtà va trasformata dal di dentro.
    Ho conosciuto un pittore fiorentino (ormai morto purtroppo) che si vestiva elegantissimamente, avresti dovuto vedere con quale incredibile gusto sapeva scegliere le cravatte. Nei suoi quadri ironizzava sugli affanni umani nell'arrivismo per conquistarsi l'inesistente pace di una posizione sociale ed economica "rispettabile". Non era grande come Magritte, ma aveva uno sguardo d'artista.
    Grazie per i tuoi bellissimi post!

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. (Ho fatto un pasticcio, me ne scuso).

    Impossibile leggere questo tuo post e non ricordare con emozione la nostra visita alla casa di Magritte. E ritrovare in queste righe tutte le osservazioni intelligenti, curiose, brillanti che ho ascoltato dalla tua viva voce quel pomeriggio.
    Penso che autori come Magritte si apprezzino in tutta la loro complessità e grandezza solo quando si sia raggiunta una certa maturità del pensiero e del sentire: da giovani si è forse più attratti dagli artisti che esprimano anche con l'abbigliamento e lo stile di vita la loro presunta libertà ed eccentricità di anime artistiche, perché da giovani è facile essere affascinati dalle personalità estreme, che scelgono in modo scenografico ed evidente una vita fuori dagli schemi, bizzarra, che sia il segno visibile, tangibile e inequivocabile della loro unicità. Un pittore come Magritte, che solo alla sua arte affida il segno della propria straordinaria originalità ma che conduce una vita anonima e "normale", può parlare poco a un giovane, nel senso che un giovane finisce spesso per avere di questo artista un'immagine piatta, bidimensionale, che non gli fa giustizia, perchè si limita ai suoi quadri, appunto, e rifiuta o ignora tutto il resto (che a torto è considerato poco interessante o francamente inspiegabile). Invece, con gli anni, credo sia proprio questa straordinaria capacità di Magritte di vivere due vite e di entrare ed uscire dall'una e dall'altra con pari disinvoltura e leggerezza e sincerità (nessuno dei due Magritte - il borghese col cagnolino e l'artista visionario - è fasullo, questo lo si sente con grande nettezza) credo sia questo, dicevo, ad incantare, perché si riconosce in essa l'impronta di un uomo davvero libero, talmente libero da permettersi il lusso di vivere come un qualunque impiegato pur avendo dentro di sé l'anima vera di un artista visionario e penetrante, dando così voce a tutti i mondi che ha dentro di sé, un'impresa che, io penso, ha dell'incredibile. È questa sorta di magica compresenza che fa sì, secondo me, che in ogni quadro di Magritte si avverta soprattutto un'incredibile grazia, una sorridente armonia, un pacificato equilibrio, la voce di un uomo che conosce e accetta ogni parte di sé e non ne ha paura.
    Solo tenendo fissi gli occhi su entrambi i Magritte, il piccolo borghese in bombetta e l'artista, si comprende, credo, la sua reale statura e se ne apprezza la gioiosa, irriverente libertà.
    E allora, magia magrittiana, anche le foto che lo ritraggono nel suo salotto, con il cane ai piedi e la moglie che suona il piano, diventano intense ed enigmatiche ed emozionanti come i suoi quadri.
    Saluti affettuosi

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  4. Com'è bello questo post, Grazie e com'è magrittiano ( come diresti tu). La scelta del quadro, la finestra uguale a quelle di casa tua, la profondità, l'enigma che si cela nel banale, nell'ordinario. Mi piace i Magritte che tu racconti e quello che direbbe "quel gaspillage" per i fiori inutili portati al cimitero. Si vede che sei affezionata e per quale che so di te ci ritrovo anche dei tuoi lati, l'ironia tagliente, l'anticonformismo più di sostanza che di facciata. Molto bello anche quello che dice Duck.Vale la pena leggere post e commenti e se fai un itinerario magrittiano a Bruxelles considerami prenotato. Ciao
    M.

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  5. Approfitto di una giornata libera oggi per aggiornarmi sul tuo blog e leggere i tuoi ultimi post.Vorrei dirti che li ho trovati uno più interessante dell'altro. Sei sempre più brava. questo su Magritte mi è piaciuto particolarmente perché mi hai detto cose del suo carattere che non conoscevo e si sente che sei molto partecipe.Mi dispiace di essere già stata a Bruxelles e di non poter fare l'itinerario che tu ci proponi, soprattutto le birrerie.
    ciao
    Sara

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  6. "... l'anticonformismo, la libertà, non era nel condurre una vita fuori dagli schemi.
    Era invece quella di forzarli, di abbatterli gli schemi, ma dall'interno." E' una chiave di lettura anche dei suoi quadri, oltre che un'idea di anticonformismo che sottoscrivo in pieno. Come la collocazione di un armadio rosso nell'allestimento borghese del suo appartamento di cui hai parlato in un post precedente.
    Grazie per l'itinerario prezioso che hai fornito.

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  7. Ho letto questo e gli altri due post: mi hai costretto ad amare Magritte e ora per Bruxelles mi prenoto anch'io. Un saluto
    Anna

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  8. Propongo una gita organizzata di grupo per andare a fare il tour di Magritte e dintorni e berci una birra in compagnia di Grazia.

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  9. È da un po' che seguo questo belllissimo blog e non avevo mai commentato.Sono spinto dal post su Magritte che è uno dei miei pittori favoriti.L'anticonformismo e l'ironia che metti in rilievo sono le sue doti principali e quelle attraverso cui rivela nei suoi dipinti il surrealismo della vita quotidiana.Se c'è da venire a Bruxelles e con te come guida, allora vengo anch'io
    Un saluto
    Bruno

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  10. Tu sì che sai fare amare l'arte. Questo tuo blog dovrebbe diventare materia scolastica.

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  11. Come sono vere le sue parole, a volte è inutile porsi troppe domande, bisogna accettare e cogliere la semplicità di una cosa.

    Il tuo amore per l'arte è contagioso e da quando ti leggo sto iniziando, pian pianino, ad interessarmi di più.

    un grandissimo abbraccio

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  12. gita di grupo... eh eh...
    naturalmente intendevo di gruppo

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  13. leggo il tuo blog e penso che mi piacerebbe conoscerti

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  14. Cara Grazia, mi hai fatto sentire a Bruxelles come al tempo in cui ci ho vissuto per un anno. Amo molto il Belgio e la sua capitale.Un mio amico belga mi diceva: "Ma tu pensa che vogliono far diventare Bruxelles la capitale europea!" Lui era innamorato dell'Italia con l'immenso paesaggio e le tante città ricche di opere d'arte. Io non sapevo quasi nulla d'arte, conoscevo l'Italia molto meno di lui. Io mi sono innamorata della dolcezza del paesaggio belga della timidezza o riservatezza dei suoi abitanti. Della libertà di muovermi da sola e non essere importunata. Delle case con i tetti di canne. Della Grand Place, del Théàtre La Monnaie dove ho visto i miei primi spettacoli di importanza internazionale, in occasione di Europalìa. I film di Pasolini. Il théàtre de Toone..
    Bruxelles, dove ho fatto le più belle e istruttive esperienze della mia vita: un anno indimenticabile. Magritte è arrivato molto dopo, quando ho potuto interessarmi alla storia dell'arte. Seguivo un corso.
    Ora seguo il tuo blog che vale anche di più. Non so come ringraziarti per la gioia che me ne deriva.
    Un abbraccio
    Nou

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  15. Il tuo blog è diventato il mio corso di storia dell’arte a puntate. Mi piace quest’immagine di Magritte (che conosco molto poco) che “forza gli schemi usando l'ironia come un grimaldello per scardinare i luoghi comuni, le espressioni abusate”. E mi piace il volto di Bruxelles che traspare dal tuo post.
    Grazie ancora.

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  16. E' vero, Grazia ci sta facendo tutti innamorare di Bruxelles. Mi fai ritornare in mente che quando ero piccolina mio padre si divertiva a insegnarmi tutti i nomi delle capitali europee, e quando si arrivava al Belgio esclamavo: Bruscellès!

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  17. @ a tutti grazie per i commenti.Come si è capito per me Magritte è un pittore speciale. E' vero che il suo anticonformismo lo si apprezza di più quando non si è più tanto giovani da pensare che l'abbigliamento o i gesti siano quelli che ci consentiranno di sfuggire dall'omologazione. Il suo anticonformismo di sostanza è quello che gli consente nei suoi dipinti di "rovesciare" la realtà e di scoprire l'enigma del quotidiano.
    Credo che si sia capito quanto io ami Bruxelles, come si amano le persone timide, discrete, dallo charme sottile e dalla bellezza tanto più coinvolgente quanto più inattesa.Se qualcuno organizza una gita a Bruxelles, io sono qua.

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  18. Quando ti deciderai a tenere un corso di storia dell'arte io mi iscrivo di sicuro. Ne ho già fatti parecchi, ma con te come insegnante sarebbe veramente bellissimo. Solo una cosa, quelli che facevo io erano serali, vicino a Lugo di Romagna, quindi per favore, non mi dire che lo organizzi in Belgio, diversamente dovremmo mettere su un volo speciale Bruxelles airlines A/R 1 volta alla settimana. Sono sicura che lo riempiremmo, ma se poi c'è nebbia e perdiamo delle lezioni?!
    Bye&besos

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  19. Pilotato da una guida di Bruxelles come da un navigatore satellitare, sono arrivato, tra un "desolé" e l'altro dei negozianti che stavano chiudendo bottega, al Greenwich, e l'ho trovato in stato di abbandono, tanto che non si capiva se fosse aperto o chiuso. E se anche fosso stato aperto, non invitava certo ad entrare. Che peccato, che spreco.
    LDA

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  20. @ LDA: hai ragione sul Greenwich.Ora c'è stato un cambio di gestione e spero che possa tornare a essere il luogo accogliente e familiare che è sempre stato.

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