martedì 7 dicembre 2010

Io e il Limbo




Chubby Checker, Limbo rock


Sono nata d'inverno, poco prima della mezzanotte, in un dicembre freddo e piovoso.
Sono nata a rischio, in anticipo di un mese, del tutto inattesa, tanto che non è stato possibile andare alla Maternità e la levatrice è arrivata a casa giusto in tempo, lamentandosi per il freddo e per l'uscita non programmata.
I miei aspettavano un maschio e c'era già pronto il nome.
Sergio, mi sarei dovuta chiamare, come il protagonista di un romanzo rosa, ambientato nella Russia degli zar, tra slitte, camini accesi e passioni focose.
Erano talmente sicuri che non avevano previsto alcun nome femminile.

Mia nonna Maria, subito accorsa, era convinta, nelle sue salde certezze contadine, che i neonati prematuri, quelli a rischio come me, si dovessero battezzare subito o, almeno, che si dovesse immediatamente dar loro un nome.
Diceva che il nome li avrebbe sottratti al Limbo, il luogo destinato nell'aldilà ai bambini innominati. E allora, velocemente, di nomi ne furono trovati due: Grazia e, come secondo  (per precauzione), Teresa, la Santa del giorno.
Ma se così non fosse stato ?


"Grazia, Grazia pensa che ci potevi finire nel Limbo": mi diceva, ogni tanto, mio padre, per scherzo, quando ero piccola.
La frase mi suonava oscura, misteriosa, ma non mi faceva paura, perché il Limbo era entrato, piano piano, a far parte delle fantasie della mia infanzia.


Nessun legame con la religione.
Intanto mi piaceva la parola in se stessa, il suono puro, musicale.
Poi era diventato per me un luogo dell'immaginazione.
Con le mie sorelle, fin da piccole, eravamo abituatea crearci  per gioco degli spazi immaginari: l'Isola del Tesoro oppure i Regni meravigliosi di principi e principesse.

Il Limbo non era propriamente tra questi: era, comunque, per me un territorio a metà tra il vero e il falso, legato al momento che mi piaceva immaginare straordinario in cui, appena nata, ero rimasta impigliata tra due mondi.
Era il momento in cui ero stata magicamente trattenuta nel mondo reale, con la scelta di un nome, del mio.
Rimaneva un luogo fantastico, privilegiato, che un po' mi apparteneva, raccontato dalle parole di mia nonna e da quelle, allora per me più evocative che comprensibili, della poesia.
Erano i versi della Divina Commedia, recitati da mio zio, che mi parlavano del Limbo come di una sede, meravigliosa, abitata da bambini, da poeti e da eroi, i cui nomi cominciavo appena a conoscere: Omero, Ettore.... perfino il Saladino.
Poi per molti anni, per decenni, non ci ho pensato più.

Il nome si legava piuttosto a un'iconografia di dipinti, a un ballo, a un gioco, perfino a un film.
Ma, proprio ieri, ho letto, per caso, in un vecchio articolo di giornale che, seguendo moderni studi di teologia, il Limbo, il "mio" Limbo, quello dei bambini senza nome, era stato da tempo e, a mia insaputa, cancellato, abolito.
Insomma non esisteva, non era mai esistito.
E allora di colpo mi sono ricordata delle mie fantasie infantili e per un momento ho provato una delusione cocente, mi sono sentita sguarnita, privata di una possibilità di sogni.
È stato come quando una compagna di scuola, saputella e un po' crudele, mi aveva detto che non esistevano né Babbo Natale, né la Befana.

Mi sono resa conto d'improvviso che qualcosa mi era stato tolto e che mi sarebbe mancato.
Davvero.





 
Divina Commedia IV Canto dell''Inferno letto da Vittorio Sermonti

4 commenti:

  1. Improvvisamente illimbata!
    Gil

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  2. :)) non c'è più religione

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  3. Grazia carissima, il tuo limbo ci sarà sempre, per fortuna. Nessuna nuova tendenza teologica te lo potrà portare via. (Bellissimo questo post: l'ho letto anche alla Spia che ha commentato con ammirazione "Bello davvero" - difficile si sbilanci, lo sai. Io però, leggendolo, non ho potuto non pensare a mia madre che in preda al nervoso spesso si lascia scappare un "ma vai al Limbo!", espressione che mi ha sempre fatto sbellicare)

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  4. Si vale la pena leggerlo anche se mi è venuta una gran nostalgia del limbo che non ho conosciuto
    Marco

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