giovedì 28 ottobre 2010

Sorelle

Fin da piccola e per tutta l'adolescenza ho sognato di avere un fratello, anziché due sorelle. 

Da figlia unica mi sarei sentita sola, ma da secondogenita (la posizione più scomoda) invidiavo le amiche che avevano fratelli, vivevano in camere separate, potevano avere i giocattoli tutti per loro, non vestivano con vestiti già usati e, soprattutto, avevano accesso al misterioso e affascinante universo maschile.
Con le mie sorelle avevo un rapporto complice e intimo, ma, a volte- senza preavviso- si scatenavano sorde ostilità che sfociavano in brevi, ma pugnaci guerre e provocavano vendette fulminee e feroci.
Pensavo che con un fratello non ci saremmo mai litigati per una bambola o per una camicetta, non ci saremmo mai accapigliati. 
Mi immaginavo che mi avrebbe rivelato i misteriosi segreti che i ragazzi si scambiano tra di loro e che, con lui, sarei finalmente uscita da quel mondo zuccheroso e lezioso che sembrava avvolgere l’infanzia delle bambine, anche se una sobria e severa educazione familiare ci evitava almeno i pizzi, i fiocchi, il rosa (colore che ho sempre detestato) le smorfiette, o la Barbie …

Più grande, ho sempre guardato con sospetto alla parola “sorellanza” che andava tanto di moda qualche anno fa. 
Non bastava "amicizia"? E poi di sorelle io ne avevo già due….
Ora scopro, invece, che il legame tra sorelle si fa sempre più stretto e me ne chiedo la ragione. 
Non è amicizia: siamo troppo diverse e non so nemmeno se le avrei mai scelte come amiche o confidenti.
Legami di sangue? Non ci credo. 
È qualcosa di diverso: è solidarietà, responsabilità reciproca.
Ed è, soprattutto- come tante volte ho sentito dire e mai mi è parso così vero- avere i ricordi in comune.

Sono le uniche al mondo, con cui posso rievocare la vecchia casa abitata da bambina, con cui posso ricordare le vacanze in Versilia, il club della giovani marmotte, l’orto del nonno, il lessico familiare …..
"Chiudi la tenda, chiudi la tenda, ch’io non ti veda fare merenda": canticchiava sempre  la  mamma, quando ci portava, il pomeriggio, i consueti panini con la marmellata. 
Chi oltre noi tre lo sa ?




sabato 16 ottobre 2010

Sognare Firenze





Ho studiato e vissuto a Firenze. 
La città, per chi, come me, abitava in aperta in campagna, era un punto d‘arrivo, un luogo di ritrovo, il posto, dove scoprire nuove amicizie e nuovi modi di pensare.

Frequentavo un liceo, proprio in centro, vicino a piazza del Duomo. 
Per andare a scuola passavo dalle Cappelle Medicee, dalla Sagrestia Vecchia…
Ma la città per me non era quella dei grandi monumenti.
Conoscevo la fama, la Firenze, il Rinascimento, ma, così…come si sa che esistono la circolazione sanguigna, o gli atomi,  o i pianeti del sistema solare.

Non entravano nella mia vita: san Lorenzo era il mercatino dell’usato, piazza Signoria il luogo di un bar in cui si serviva una cioccolata squisita, piazza santa Maria Novella il punto di incontro con gli amici. 
Passavo per le strade inconsapevole, più che disattenta.
L’ora di storia dell’arte era, in genere,utilizzata per ripassare le materie dell’ora successiva e, mentre l’insegnate recitava, con voce monocorde, nomi e date, noi, armati di vocabolari, completavamo affannosamente le versioni di latino o di greco.
Prima liceo, nuovo insegnante,prima lezione di storia dell’arte.
Arriva con un pacchetto di foto e, mentre noi lo scrutiamo sospettosi, comincia a girare tra i banchi e ne deposita una per ciascuno con una cartina della città. 
Silenzio: si fanno sparire i vocabolari, si aspetta.

Ecco - dice- tra un mese mi dovrete dire cosa rappresentano le foto e dove si trovano “ e inizia a parlarci di Firenze, di Brunelleschi, di Masaccio, dei Medici.
Comincia a dipanare davanti a noi un racconto …ci incanta. 
Già il primo pomeriggio ci scateniamo per la città.
Ed ecco che quell’edificio, da cui passavo tutti i giorni, ha un nome, una storia: è il palazzo Medici Riccardi, dove abitavano Cosimo, Lorenzo il Magnifico, è quello di cui ci parlava, quello che ci evocava nel racconto.
È stato come imparare una lingua, come vedere un mondo per la prima volta: la città si presentava davanti a noi, piena di significati. 
Entravamo dentro chiese, mai visitate prima, vedevamo affreschi, quadri, tutto.
Una vertigine. 
Una meraviglia che ancora non mi abbandona.
Ho scelto storia dell’arte, ne ho fatto la mia professione e, ancora, quando rientro a Firenze, in una città ormai degradata, violentata dai pullman, dal traffico e dallo sporco, mi riscopro a guardarla con lo stesso stupore dei miei quattordici anni.

E la città, di nuovo, si apre a me con lo stesso incanto.




Litfiba : Firenze sogna :


mercoledì 6 ottobre 2010

...dirti l'ebbrezza del mio cor segreto



G.Bezzuoli, Ermengarda,GDS Uffizi



....  Amor tremendo è il mio.


Tu nol conosci ancora; oh! tutto ancora
Non tel mostrai; tu eri mio: secura
Nel mio gaudio io tacea; né tutta mai
Questo labbro pudico osato avria
Dirti l'ebbrezza del mio cor segreto.

(A.Manzoni, Adelchi, atto IV, scena I)



Eravamo in terza liceo quando, nell'intento di indurci ad amare l'Adelchi di Manzoni, il professore d’italiano ebbe l'idea di farcelo recitare. 
Non in un teatro, ovviamente, ma in classe, seduti nei malinconici  banchi di fòrmica verde che allora usavano nelle scuole. 
Aveva assegnata una parte a ognuno di noi: a me toccava la timida Ermengarda, la sposa ripudiata di Carlo Magno e poi monacata a forza.
È stato così che li ho scoperti.

La confessione dell'amore di Ermengarda, fino ad allora inespresso, il modo riservato e trattenuto di dar voce a un sentimento mi sembrarono emozionanti e struggenti. 
Era  un un periodo, in cui le sensazioni più intime cominciavano– in maniera provocatoriamente liberatoria- ad essere non solo dette, ma affermate, se non addirittura gridate, fin troppo esplicitamente.
Questi pochi versi, pudichi ed erotici insieme, recitati in maniera monocorde ed esitante in un'aula di liceo, mi sembrano ancora una delle dichiarazioni d’amore più sensuali che siano state scritte.





Verdi, La forza del destino, ouverture :
http://www.youtube.com/watch?v=zYc9RvIouPQ
Adelchi :
http://www.classicitaliani.it/manzoni/manzoni_adelchi.htm

martedì 5 ottobre 2010

Ossimoro: retorica pericolosa



Volontaria follia, piacevol male,
stanco riposo, utilità nocente,
disperato sperar, morir vitale,
temerario dolor, riso dolente:
un vetro duro, un adamante frale,
un’arsura gelata, un gelo ardente,
di discordie concordi abisso eterno,
paradiso infernal, celeste inferno.
(G.B.Marino)

Ossimoro accostare insieme due parole di significato opposto.
In contraddizione, fin dall'etimologia che unisce due parole greche di significato antitetico (oxùs:acuto) e moreòs: ottuso)

Brivido caldo è un ossimoro
soave dolore è un'ossimoro
grido silenzioso è un ossimoro.


Mi piace giocare con le metafore, uso spesso gli eufemismi, non disdegno la litote, ma ho nutrito, sempre, una certa diffidenza nei confronti dell'ossimoro, tranne che nel linguaggio letterario o della poesia, dove puo' creare – come nei versi finali dell'Infinito di Leopardi - accensioni linguistiche folgoranti:
....e il naufragar m'è dolce in questo mare .


Usato nel linguaggio comune, mi è sembrato spesso superficiale, spettacolarmente teso all'effetto (se non all'effettacio), soprattutto oggi che gli ossimori, voluti o meno, volontari o involontari, hanno invaso di prepotenza giornali, televisioni, conversazioni, insomma, le nostre vite:
convergenze parallele, bombardamenti intelligenti, guerra preventiva, critica costruttiva, realtà virtuale, politicamente corretto....
dicendo e opponendo allo stesso momento, affermando e negando (rieccolo: un'altro ossimoro!) liberi di dire tutto e il contrario di tutto.
Irresponsabilmente.

Prepotente, superficiale, l'ossimoro ormai tracima, invade, riempie, è lo specchio di quel che siamo.

La cultura dell'apparenza, l'idea di una furbizia intelligente: l'Italia di oggi.





Rino Gaetano, Mio fratello è figlio unico: