sabato 7 novembre 2009

Ritratti: Georgette e René Magritte




Tra queste tre immagini si dipana una storia d'amore, quella di Georgette e René e un percorso artistico, quello di Magritte.

La prima è del 1922: si sono appena sposati a Bruxelles nella chiesa di Rue Royale. Lei porta la catenina con la croce al collo, quella che indosserà sempre e che André Breton, a Parigi, le rimprovererà come segno di conformismo.
Ha la fede alla mano sinistra e tocca  - con un gesto di tenerezza protettrice- la guancia di René.
È bellissima e  radiosa. 
I capelli sono morbidi, con qualche ciocca  che sfugge all'acconciatura e il sorriso è appena accennato.

Lui ha l'aria più riservata, quasi timida:  un fiore (un garofano) e un fazzolettino nel taschino della giacca e una camicia bianca col colletto con le punte dure. 
Non si guardano: tutt'e due fissano l'obbiettivo.
Il legame, fortissimo,  si intuisce dalla posa, dalle espressioni, da quella di fidente abbandono di lui e  dall'abbraccio di lei.
D'ora in avanti lei farà parte della sua vita, sarà la modella delle sue foto e della sua pittura.


La seconda, L'ombre et son ombre, è del 1932.
Tutt'e due sono in posa, in piedi, con una tenda scura sullo sfondo. 
Anche questa volta non si guardano, ma fissano l'obbiettivo davanti a loro. Georgette è in primo piano; i capelli sono lisci, lo sguardo sembra inquieto.
Questa volta  lui è nascosto dietro di lei,  la rassicura, posandole una mano all'altezza del gomito e sembra spingerla in avanti, verso la luce.
È  un'immagine in posa ma, allo stesso tempo, un'immagine intima che rende manifesta la relazione fusionale che c'è nella coppia.
Ognuno dei due non è soltanto l'ombra dell'altro, ma, come nel titolo voluto dallo stesso Magritte, è l'ombra della sua ombra.


La terza è  del 1965 nella nuova casa di Rue des Mimosas, che hanno appena comprato: lui è un pittore affermato ed espone in tutte le gallerie del mondo.
Il matrimonio ha subito una crisi e per un momento  -per una tentazione o un tradimento di lui-  si è incrinato. 
Ma ora la coppia si è ricomposta e posa, di nuovo insieme, di fronte alle porte finestre che si aprono su quell'interno "comme il faut" che Magritte vuole come suo sfondo: i tappeti, i soprammibili, la lampada, lo specchio con la cornice dorata.
Lui, come al solito, è vestito in pantaloni e giacca scuri e tiene tra le mani il cappello a bombetta e un ombrello.
Lei ha gli occhiali, l' abito e le scarpe bianche. Tra i due uno degli immancabili cani.
Sembrano una coppia normale, comune: lui ha l'aria di un professionista, un notaio o  un avvocato.
La trasformazione in una banale coppia "borghese" è perfettamente riuscita. Solo alcuni particolari (chi mai si vestirebbe in casa con bombetta e ombrello?) tradiscono l'ironia e il travestimento.
E lei, complice ancora una volta, lo asseconda, completamente, come sempre.

È l'ultima foto, ma non l'ultima immagine che  ho di loro.
Ieri sono andata con Thomas al cimitero di Etteberck.
Abbiamo percorso i  vialetti con le lapidi in pietra scura o in marmo e con i consueti mazzi di fiori.
Ci siamo fermati di fronte ad una tomba, semplicissima, senza nessuna segnalazione che   la distinguesse dalle altre.
Sulla lapide, solo una scritta  "Georgette et  René Magritte".







Forse troppo romantica per loro, ma per me inevitabile
Jacques Brel, La chanson des vieux amants:
http://www.youtube.com/watch?v=B7oNGtr8QFQ



lunedì 17 agosto 2009

Au pigeon soldat: racconto in forma di cronaca




In questo agosto variabile di tempo e d'umore, tra un arrivo e l'altro di amici e parenti, decido- fornita di album da disegno, matite color seppia, e macchina fotografica digitale- di perlustrare la città in cerca di opere d'arte ignorate. 
Percorro a piedi strade, piazze e parchi  alla ricerca di un monumento dimenticato, di un angolo bistrattato o di un capolavoro negletto.
Ed ecco che in Piazza Santa Caterina, in disparte rispetto ai ristoranti invasi da turisti colorati e chiassosi, scopro finalmente un'opera trascurata da tutte le guide turistiche e ignorata perfino dai più dotti ciceroni.

Al centro una giovane donna, drappeggiata in un manto, astutamente aperto a scoprire il seno alto e sodo, è scolpita nel bronzo  nell' atto di lanciare in aria una colomba.
"Una rappresentazione della pace": penso.
Invece no!
Lo chiarisce bene la scritta, incisa nel piedistallo e bilingue, come si usa da queste parti.
Non si tratta di colomba, ma di piccione.
"An de oorlos duif ", " Au pigeon soldat": recita la dedica.
"Al piccione soldato" traduco d'istinto, senza che questo mi apporti ulteriori lumi. 
Ai lati, su alti basamenti in pietra, due  monumentali piccioni incrociano le ali fissando l'orizzonte con aria  marziale, sotto un elmetto militare.

A quali eroici piccioni è dedicato?  A quali fatti d'armi allude?
Chissà quali sono gli eventi militari che hanno visto protagonisti i banali pennuti.
"Sono i piccioni viaggiatori morti in tempo di guerra, uccisi mentre portavano messaggi oltre le linee nemiche": chiarisce un amico esperto, che ho subito interpellato.

Certo, non si può dire che, fino ad ora, io sia stata una fervida ammiratrice dei piccioni. Nutriti dai masnade di turisti mi sono sembrati  capaci solo di sporcare palazzi, monumenti e, perfino, i miei davanzali di casa.
Fino ad ora ..!
Adesso scopro, stupefatta, che il volgare piccione, in circostanze particolari, può rivelare -come tutti noi del resto - la tempra di un ardimentoso.
Può dimostrare, esposto al rischio, un coraggio a tutta prova, che- dimenticato altrove- viene eternato nella pietra e nel bronzo di Bruxelles.
E sono costretta ad ammettere che, entro un petto di piccione, può talvolta battere il cuore di un eroe




Allora: onore ai piccioni :

E, tanto per gradire, la Marcia Radetzky :
http://www.youtube.com/watch?v=jxM9EytbS7M



domenica 16 agosto 2009

Gibaud, Falqui, il capitano..: un omaggio





Un tempo, quando si entrava in farmacia, non era raro imbattersi in un manichino nero con i capelli corti, la testa voltata verso sinistra e il corpo sodo e muscoloso.
Ma l'aspetto può ingannare e l'apparenza di sana robustezza era smentita da una serie di fasce elastiche bianche che evidenziavano, invece, sofferenze da trauma o da reumatismi.
Sembrava  che il manichino avesse inanellato un malessere dopo l'altro (al polso, al gomito, alla caviglia, alla schiena...), sopportando sempre stoicamente con il sorriso (o quasi) sulle labbra.
Da che cosa gli veniva questa forza serena?
È chiaro: dalla fiducia nelle virtù taumaturgiche delle fasce elastiche del dottor Gibaud, capaci- se non guarire- almeno di lenire i dolori ai muscoli, ai tendini o ai nervi infiammati.
Nessuna ricerca ha dato esito, quando- spinta dalla curiosità- ho cercato di sapere chi fosse questo misterioso Dottor Gibaud che  aveva apportato tanto beneficio all'umanità sofferente, senza mai rivendicare un ruolo, un posto al sole, e nemmeno il suo quarto d'ora di celebrità.
Lo immaginavo occupato a ideare cavigliere, ginocchiere, pancere senza un attimo di tregua, come uno di quegli infaticabili benefattori che tanto danno, senza nulla chiedere.

La stessa tempra, di chi nulla rivendica per se stesso, la ritrovavo nel Dottor Falqui, inventore del celebre confetto lassativo che tanto sollievo aveva concesso in un settore delicato e spesso- per vergogna- passato sotto silenzio.
Che dire poi dell'ignoto capitano (di artiglieria? di fanteria?) che aveva dedicato se stesso alla cura dei denti, elaborando e sperimentando (chissà quanto a lungo) una pasta dentifricia. 
Di lui non è noto nemmeno il nome.

Quanti eroi negletti, quante generose e modeste personalità hanno lavorato per il nostro benessere sanitario! 
Di loro, almeno qui, rimanga il ricordo!


Renato Carosone, Pigliate 'na pastiglia: 
http://www.youtube.com/watch?v=mmjxuIMln2s&feature=related

mercoledì 12 agosto 2009

L'armadio di Magritte




Bruxelles non è solo la Grand Place, è anche Magritte.
E Magritte non è solo il suo museo,  ma anche  la sua casa e il suo armadio rosso. 

Ma perché l'armadio e, soprattutto, perché rosso? È una lunga storia.

All'inizio del loro matrimonio René e Georgette si stabiliscono in un piccolo appartamento a pianterreno di una tipica casa belga a Jette, un quartiere periferico di Bruxelles.
Qui René ha il suo atelier (nel giardino) dove, per sopravvivere, disegna manifesti pubblicitari;  qui vivranno per venti anni, qui si riuniranno i surrealisti belgi e qui dipingerà i quadri più famosi.  
La modella prediletta è  Georgette.
Tutti gli elementi dell'arredo della casa, però, trovano posto nei suoi dipinti: dal camino uscirà una locomotiva a vapore, la finestra  diventerà un cavalletto, la balaustra  della scala si aprirà sul  nulla....

Qui René perfezionerà la sua più grande invenzione: la sua vita. Tutta legata alle apparenze piccolo borghesi, il vestito scuro, la giacca, la cravatta, la camicia bianca, la bombetta, l'ombrello e i capelli tagliati con la sfumatura alta.
Tutti dettagli che, a poco a poco, definiscono la sua apparenza: quello è il vero anticonformismo, non quello ostentato o di facciata, ma quello che consite nel rompere le convenzioni dall'interno. 

Così nell'arredamento della casa, tipico degli anni '20 del Novecento (il legno intagliato, i soprammobili, il lampadario, l'inevitabile pianoforte)  emergono elementi dissonanti, che scardinano  tutto.
Sono quelli a farci capire che in realtà siamo in uno  scenario teatrale: quando entriamo  in salotto scopriamo che  le pareti sono  azzurro vivo, come i cieli dei suoi dipinti. 

E nella camera, con il letto dalla tradizionale  la testata in ferro battuto  e  la classica porta bianca, scopriamo il particolare più sfacciato.
È l'armadio  di un rosso scarlatto, che ci fa finalmente  comprendere che René ci sta prendendo in giro e  ci  sta strizzando l'occhio.
Sta lì per vedere se  ci siamo cascati, se abbiamo capito,  per poi abbandonarsi, finalmente,  alla sua ironica risata liberatoria.




http://www.magrittemuseum.be/





domenica 5 luglio 2009

Si comincia....







Oggi ho creato il mio blog, ma non so cosa farne.
Mi sembra di essere ritornata ai tempi delle medie o del liceo, quando le classi erano ancora divise tra "maschi" e "femmine".
I maschi, acneici e perennemente sudati, ostentavano un aperto (ma chissà quanto vero) disprezzo nei confronti delle attività femminili.
Le femmine, altrettanto acneiche e sudate,  (la cosmesi allora non si interessava agli adolescenti) li guardavano di lontano e ostentavano anch'esse indifferenza (chissà quanto vera), fingendosi assorte in loro misteriose occupazioni.

In realtà, segretamente, riempivano il diario (sì, il vecchio caro diario) di cuoricini e scritte che alludevano cripticamente all'amato e lo imbottivano con foto, ritagli di giornale, poesie (rigorosamente d'amore) e frasi tratte da cioccolatini o da giornali femminili.
È vero che non c'erano né computer, né blog.

Ecco, ora, con questo schermo vuoto e questa penna (pardon, mouse) davanti, mi sento tornata un'adolescente acneica con il suo diario.
Per ora lo sigillerò con la chiavetta, come avevo fatto col mio antico diario di ragazza, e poi.... chissà.
Forse anche i blog, come i figli, crescono e, a un certo momento, lo dovrò far volare via.
Aspettiamo .....



Richard Galliano, Libertango :
http://www.youtube.com/watch?v=KOXVxoyZ8yo